La cd. “Legge di Stabilità” licenziata dalle Camere con Legge n. 147 del 27 dicembre 2013 ha previsto, come noto, al comma 457 che “A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016 i compensi professionali liquidati, esclusi, nella misura del 50 per cento, quelli a carico della controparte, a seguito di sentenza favorevole per le pubbliche amministrazioni ai sensi del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, o di altre analoghe disposizioni legislative o contrattuali, in favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti nella misura del 75 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente comma sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica agli enti territoriali e agli enti, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano, del Servizio sanitario nazionale”.
Il disposto della norma citata, per la verità poco chiara, presenta, come noto, numerosi punti di criticità, che impongono sin d’ora, un’operazione interpretativa improntata al rispetto della Costituzione e degli indirizzi giurisprudenziali costantemente emersi in materia.
I. Illegittimità costituzionale della nuova normativa.
Un punto decisivo concerne, in via del tutto preliminare, gli evidenti profili di illegittimità costituzionale di una norma che, applicando, di fatto, una decurtazione patrimoniale ai soli avvocati dello Stato e degli altri Enti Pubblici, introduce, in altri termini, una forma di prelievo (se non, addirittura, un vero e proprio “pizzo”) dalla quale sono, invece, esenti, a parità di capacità contributiva, le restanti categorie di dipendenti pubblici, quali i tecnici.
Da tale punto di vista, la norma citata non appare, quindi, conforme ai principi enucleati dalla Corte Costituzionale in tema di “contributo di solidarietà”; essa viola, in particolare, il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 nonché quello di proporzionalità dell’imposizione alla capacità contributiva sancito dall’art. 53 (ex multis, sent. n. 223/2012).
Il taglio lineare prefigurato dalla Legge di stabilità implica, inoltre, una riduzione del trattamento economico di dubbia legittimità rispetto all’art. 36 Cost., in quanto adottato in via del tutto arbitraria e irrazionale ed in assenza di una doverosa riorganizzazione delle mansioni delle avvocature pubbliche alla luce della quantità e qualità delle prestazioni ad esse richieste nell’attuale contingenza finanziaria.
Come se ciò non bastasse, tale assetto pretermette i generali principi che presiedono all’autonomia della contrattazione collettiva del comparto, non essendo state le parti sociali in alcun modo coinvolte nella doverosa negoziazione di aspetti contrattuali di tale importanza.
II. Il fondamento giuridico del diritto al compenso professionale.
Ciò detto, nel merito della questione, occorre operare una attenta disamina delle ragioni giuridiche a sostegno del diritto degli avvocati pubblici a percepire i compensi per cause concluse con sentenza favorevole, sia con spese a carico della controparte, sia a compensazione di spese.
A tal proposito, il Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (T.U. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) disciplina la materia con riferimento alla sola Avvocatura dello Stato, ma ad essa si sono, poi, conformati le restanti avvocature pubbliche e la vigente contrattazione collettiva.
L’art. 21 del R.D. citato riconosce all’Avvocatura dello Stato la facoltà di esazione diretta “delle competenze di avvocato e di procuratore nei confronti delle controparti quando tali competenze siano poste a carico delle controparti stesse per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione” (commi 1 e 2).
Ai sensi del successivo comma 3, “Negli altri casi di transazione dopo sentenza favorevole alle Amministrazioni dello Stato e nei casi di pronunciata compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse non siano rimaste soccombenti, sarà corrisposta dall’Erario all’Avvocatura dello Stato, con le modalità stabilite dal
regolamento, la metà delle competenze di avvocato e di procuratore che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Quando la compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli onorari riscossa in confronto del soccombente sarà corrisposta dall’Erario la metà della quota di competenze di avvocato e di procuratore
sulla quale cadde la compensazione”.
Alla luce di tali norme, si sono, poi, definiti tutta la normazione secondaria ed i connessi indirizzi giurisprudenziali, che hanno riconosciuto a favore degli avvocati pubblici il generale diritto a percepire i compensi per cause concluse con sentenza favorevole, sia con spese a carico della controparte (nella misura determinata dal Giudice) sia in caso di compensazione di spese legali (in questo caso secondo i rispettivi regolamenti, sebbene si sia sempre preferita l’applicazione, anche da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dei parametri forensi ridotti della metà: T.A.R. Puglia Lecce, Sez. III, n. 847 del 25.3.2010 e Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata, Potenza, con la deliberazione n. 2/2010/PAR).
III. Aspetti applicativi: il fondo su cui introitare gli emolumenti per attività professionale.
In ordine al fondo per gli emolumenti delle spese legali e per le propine, un caso particolare riguarda gli importi liquidati con sentenze favorevoli e spese compensate.
Di recente, la Corte dei Conti-Sezione Regionale dì Controllo per la Liguria, con deliberazione n. 86/2013 del 4 dicembre 2013, ha sostenuto, per parte sua, che i compensi in favore dell’avvocato comunale non derivanti da condanna alle spese della controparte sarebbero esclusi dall’assoggettamento ai vincoli di cui all’art. 9, comma 2 bis del D. L. n. 78/2010, che fissa un tetto di spesa al trattamento accessorio del personale in servizio presso le Pubbliche Amministrazioni.
I compensi in parola non costituirebbero, come anticipato, un trattamento accessorio alla retribuzione degli avvocati pubblici, ma rappresenterebbero essi stessi retribuzione per l’attività professionale espletata in favore dell’Ente Pubblico, senza che agli stessi possa essere riconosciuta valenza incentivante della produttività del personale.
Anche sotto tale profilo, quindi, i compensi dovuti agli avvocati interni andrebbero trattati alla stregua dei compensi dovuti agli avvocati esterni, con conseguente inserimento nel medesimo fondo; e ciò in ragione del fatto che, come sostenuto dalla Corte, essi trovano regolamentazione nella legge ancor prima che nelle fonti secondarie e nella contrattazione collettiva.
IV. Adempimenti fiscali.
Ulteriori profili pratici attengono alla tassazione di tali importi.
Al fine di evitare una doppia imposizione, vietata dalla Legge, un giusto compromesso potrebbe essere costituito da una detrazione pari al 25% circa (da quantificare, poi, ad opera delle singole Amministrazioni), fatta salva l’applicazione, sulle stesse somme, degli oneri riflessi.
V. Tempi di applicazione della norma.
Al di là dell’interpretazione proposta, val la pena soffermarsi, in questa sede, sulla decorrenza dell’applicazione della norma citata.
Dal tenore della Legge, non può che ricavarsi, in realtà, che il comma 457 sia destinato ad applicarsi alle sentenze emesse dopo il 1° gennaio 2014; il che, vale a dire, anche oltre il termine del 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre dello stesso anno.
In assenza di una diversa disposizione normativa, alcuna irretroattività può desumersi dalla citata Legge di stabilità.
Il generale principio di irretroattività della legge si coniuga, inoltre, con la regola dell’imputazione delle somme in bilancio da parte delle Pubbliche Amministrazioni, giacché il diritto al compenso matura nel momento stesso del deposito della sentenza.
Tale conclusione si giustifica, peraltro, alla luce dei principi di certezza e dei criteri di redazione dei bilanci pubblici (unità, annualità, universalità, integrità, veridicità e pubblicità); lo stesso riferimento del Legislatore alla liquidazione giudiziale consente, di per sé, una maggiore correttezza di bilancio, ancorando tale adempimento alla natura di atto pubblico della sentenza e rendendo certe e trasparenti le fattispecie da sottoporre alla propria operatività.
VI. Un caso di specie nell’ambito delle Avvocature delle Università: il riconoscimento dei compensi professionali agli avvocati inquadrati nella categoria D.
Particolari criticità attengono alla possibilità di corrispondere i compensi per cause concluse con sentenza favorevole ai legali delle Pubbliche Amministrazioni inquadrati, come all’interno delle Avvocature di Ateneo, nella categoria D.
La ratio di simile riconoscimento risiede, evidentemente, nella natura delle prestazioni svolte da questa particolare categoria di pubblici impiegati, in quanto esercenti la professione legale e quindi contrassegnati, sia nei confronti dell’Amministrazione che dell’ordine di appartenenza, da maggiori oneri e responsabilità rispetto alla generalità dei dipendenti pubblici.
Com’è noto, infatti, i componenti degli uffici legali degli Enti Pubblici rivestono il duplice status di professionisti – iscritti, per un verso, all’albo speciale previsto dall’art. 3 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 (oggi confluito nell’art. 23 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247) e tenuti, in quanto tali, al rispetto dei doveri propri di tutti gli esercenti la professione forense – e di pubblici dipendenti, con i diritti e i doveri che ne derivano; ad essi deve, pertanto, essere riconosciuto un particolare compenso per l’attività forense svolta, in misura effettivamente adeguata alla particolare natura delle funzioni espletate.
Avvocati e procuratori pubblici hanno diritto agli onorari di giudizio liquidati a favore dell’Ente per l’attività difensiva svolta per effetto, in particolare, degli artt. 3, 4° comma, lett. b) e 57, della Legge professionale forense (n. 1578 del 27 novembre 1933) nonché ai sensi della recentissima Riforma forense di cui alla Legge 31 dicembre 2012, n. 247 (artt. 13 e 23 della stessa legge).
Col duplice status sin qui descritto, gli avvocati degli Enti Pubblici svolgono, quindi, funzioni assolutamente non riducibili a quelle dei normali dipendenti investiti di funzioni burocratiche ed amministrative. Il che spiega il connesso diritto degli stessi a percepire, oltre alla normale retribuzione, le compartecipazioni agli onorari ed alle altre indennità (variamente denominate, tra le quali propine, indennità di toga, ecc.) espressamente riconosciute agli avvocati dalle norme contenute nell’art. 57 del R.D.L. citato; e ciò senza che quest’ultimo possa considerarsi superato, per il suo valore di legge, dalla disposizione contrattuale relativa all’onnicomprensività della retribuzione prevista per i dipendenti pubblici.
Posto, dunque, il fondamento normativo del diritto di tutti i dipendenti-avvocati preposti agli Uffici legali (dal Dirigente alla categoria D) di percepire i compensi professionali, il punto sul quale in passato è stato avanzato qualche dubbio concerne, infatti, la corresponsione di tali compensi agli Avvocati del comparto Università in relazione al principio sancito a livello generale dalla normativa vigente, che vantano una retribuzione articolata nella tradizionale tripartizione in stipendio tabellare, indennità di posizione ed indennità di risultato.
Tale peculiarità ha reso necessaria, non a caso, una particolare previsione contrattuale all’interno del C.C.N.L di comparto 2006-2009 (art. 71, comma 3) e nel C.C.N.L. Dirigenza 2002-2005, che all’art. 26, comma 6, recita: “Agli EP (Ai Dirigenti) che svolgono attività professionale, per la quale è richiesta l’iscrizione negli elenchi speciali annessi agli Albi degli Avvocati, è riconosciuta la corresponsione dei compensi professionali, anche nel caso di compensazione delle spese ed onorari, secondo i principi di cui al r.d.l. n. 578/33. Le singole Amministrazioni provvederanno con proprio Regolamento ad attuare detta disposizione, prevedendo i relativi termini e modalità e valutando l’eventuale esclusione, totale o parziale, degli EP esercenti l’attività professionale dalla erogazione della retribuzione di risultato, indirizzando proporzionalmente la stessa per la retribuzione degli altri EP”.
VII. Conclusioni.
In conclusione di questa sia pur breve rassegna, possiamo fare un esempio di come la riduzione si applichi:
1) sui compensi a carico della controparte e limitatamente a una parte di essi ovvero a una parte corrispondente al 50% del compenso.
Tale 50% del compenso dovrà essere così ripartito: il 25% a favore del bilancio dello Stato, il 75% a favore dell’avvocato. A titolo di esempio, se la controparte deve pagare 100 euro a seguito di sentenza a lei sfavorevole, l’avvocato riceverà 87,5 euro così ottenute: 100:2= 50 75%50=37,5 50+37,5= 87,5
2) sui compensi corrisposti dall’Ateneo la riduzione si applica sul totale dovuto Ad esempio, se l’Ateneo deve pagare 100 euro, l’avvocato riceverà 75 euro così ottenute: 100-25% =75
Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa dovranno essere versate annualmente, a cura dell’Amministrazione, su un apposito capitolo di bilancio dello Stato. Sono esclusi dal versamento gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale, di competenza regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano.