In precedenti analoghe occasioni ho affermato che la Regione siciliana dimostra di avere scarso interesse per l’esercizio della funzione normativa. Ed ho fatto degli esempi primo dei quali quello della disciplina edilizia.
La critica era diretta al governo regionale, colpevole di non assumere l’iniziativa legislativa. In particolare era criticabile il silenzio della Regione siciliana a seguito dell’entrata in vigore del testo unico sull’edilizia (DPR 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i.).
La legge regionale che ci accingiamo a commentare (L. reg. 10 agosto 2016, n. 16) colma – dopo una quindicina di anni – la lacuna che si era creata con l’entrata in vigore del t.u., ma la critica relativa alla latitanza dell’iniziativa legislativa del governo non viene meno, ed anzi sotto un certo profilo si accentua, stante che la legge regionale in oggetto non è di iniziativa governativa ma è di iniziativa parlamentare. Il disegno di legge infatti è stato presentato il 20 ottobre 2014 da 15 deputati dell’ARS, i quali meritano un positivo apprezzamento.
L’origine parlamentare della legge giustifica in qualche misura le carenze della stessa per quanto concerne il mancato coordinamento con numerose leggi regionali precedenti che impingono nella stessa materia.
A proposito delle quali devo fare presente che non mi è stato possibile considerarle tutte. Essendo il mio intervento incentrato sul regime abilitativo ho preso in considerazione soltanto quelle che impingono sul regime abilitativo.
Ciò detto, è da tenere presente che la L. reg. n. 16/2016, non diversamente dal testo unico che con essa viene recepito, disciplina soltanto l’attività edilizia e non anche la materia urbanistica, sicché disciplina ad esempio il regime abilitativo dell’attività edilizia, individua i casi di attività edilizia libera, gli interventi subordinati al permesso di costruire, regolamenta il contributo di costruzione, regolamenta la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), l’accertamento di conformità, ecc. Non ci occupa invece della pianificazione.
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La tecnica con la quale la legge regionale è stata concepita é da condividere. All’art. 1 vengono elencati gli articoli del testo unico dei quali si dispone l’applicazione nel territorio della Regione con un recepimento dinamico. Sicché le future leggi statali che impingono su tali articoli si applicano immediatamente nel territorio della Regione siciliana. Per contro non trovano diretta applicazione le future disposizioni statali che impingono sugli articoli del testo unico recepiti con modifiche dato che tali articoli sono stati, per così dire, regionalizzati, con la conseguenza che non si può configurare un rinvio dinamico. Compete al legislatore regionale di volta in volta di pronunziarsi sul recepimento.
E’ da tenere presente che il legislatore statale nei 15 anni trascorsi dall’approvazione del testo unico ha introdotto diverse innovazioni alla disciplina edilizia, soltanto alcune delle quali attraverso modifiche alle disposizioni del testo unico – così quelle introdotte con il “decreto del fare” (n. 69 del 2013) e con il “decreto sbloccaitalia” (n. 133 del 2014) – mentre altre non hanno modificato disposizioni del testo unico ed hanno mantenuto una loro autonoma valenza. Posso fare l’esempio al riguardo del D.L. 13 maggio 2011 n. 70 (conv. in l. n. 106 del 2011), con il quale, all’art. 5, mentre sono stati modificati alcuni articoli del testo unico, sono state introdotte altre disposizioni.
Così nei commi 9, 10, 11 e 12 si dispone che le regioni, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge approvano specifiche leggi per incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e promuovere la riqualificazione di aree urbane degradate attraverso il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva come misura premiale, la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse, l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
Si stabilisce espressamente (comma 12) che tali disposizioni “si applicano anche alle regioni a statuto speciale compatibilmente con le disposizione degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione”.
La regione siciliana ha impugnato tali disposizioni davanti alla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 184 del 4 luglio 2012 ha dichiarato la questione non fondata stante la “clausola di salvaguardia” sopra rammentata.
Avendo fatto cenno, seppure a titolo esemplificativo, al trasferimento di cubatura, (la delocalizzazione), al fine di evitare di ritornare più avanti sull’argomento, segnalo che all’art. 22 L. reg. n. 16 rubricato “cessione di cubatura e trasferimento di volumetrie” si stabilisce che per la cessione dei diritti edificatori, di cubatura e di trasferimento di volumetrie si applica quanto previsto dall’articolo 5 della legge 106 del 2011 (in realtà l’articolo 5 del decreto legge n. 70 del 2011 convertito nella legge 106), “per la delocalizzazione delle volumetrie in aree e zone diverse ma comunque compatibili per destinazione urbanistica e tipologia edilizia”.
La norma si presta ad essere interpretata nel senso che sarebbe possibile il trasferimento di cubatura anche a notevole distanza, purché ci sia la medesima destinazione di piano. Al riguardo manifesto qualche perplessità. Si consideri in particolare il verde agricolo. Al fine dell’accertamento di conformità (art. 14 L. reg. n. 16/2016) sarebbe possibile, stando alla lettera della legge, trasferire cubatura da un terreno che si trova a chilometri di distanza dalla costruzione. Vedremo come si orienterà la giurisprudenza.
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L’art. 2, 2° comma, prevede l’emanazione di un decreto del Presidente della Regione recante “un regolamento tipo edilizio unico”. Ed aggiunge: “I comuni, possono, nei 120 giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di cui al presente comma apportare, con apposita deliberazione del consiglio comunale integrazioni al fine di adattare il regolamento edilizio alle specifiche caratteristiche locali”.
Al riguardo è da notare una discrasia con l’art. 1, 3° comma, della stessa L. reg. n. 16, a norma del quale “Gli enti locali adeguano i propri regolamenti edilizi entro 180 giorni dall’entrata in vigore della presente legge”. Ma si tratta di un peccato veniale (180/120).
L’art. 2 trae origine dall’art. 4, comma 1- sexies del testo unico, introdotto dal decreto c.d. “sbloccaitalia” (D.L. n. 133 del 2014), il quale prevede l’adozione di uno “schema di regolamento edilizio – tipo al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti”. Lo schema viene approvato con accordi o intese in sede di conferenza unificata. Gli accordi costituiscono livelli essenziali delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio tipo, che indica i requisiti prestazionali degli edifici con particolare riguardo alla sicurezza ed al risparmio energetico è adottato dai comuni nei termini fissati dagli accordi, e comunque entro i termini previsti dall’art. 2 L. n. 241/1990.
La versione siciliana, semplificata al massimo, è di dubbia legittimità costituzionale. Si attribuisce al presidente della Regione di esercitare un potere regolamentare del quale egli è certamente sprovvisto. Giusta l’art. 12, u.c. dello Statuto della Regione Siciliana “I regolamenti per l’esecuzione delle leggi formate dall’Assemblea regionale sono emanati dal Governo regionale”.
C’è da sperare che, sebbene non sia previsto dalla norma, il regolamento sia emanato dal presidente previa adozione da parte della giunta regionale.
Sebbene la norma non sia chiarissima al riguardo in quanto non lo prevede esplicitamente, è da ritenere che, una volta trascorso il termine di 120 giorni, il “regolamento tipo edilizio unico” trovi diretta applicazione nei comuni che non abbiano deliberato integrazioni.
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Sensibilmente modificata la disciplina dei titoli abilitativi.
Scompaiono la concessione edilizia e l’autorizzazione edilizia stante l’esplicita abrogazione dell’art. 36 L. reg. n 71 del 1978 e dell’art. 5 L. reg. n. 37 del 1985.
La scomparsa della concessione edilizia comporta la inapplicabilità dell’art. 2 L. reg. n. 17 del 1994, disciplinante, com’è noto, il silenzio assenso sull’istanza di concessione edilizia.
Ma l’art. 20 t.u. (recepito senza modifiche) prevede il silenzio assenso sulla istanza di permesso di costruire (comma 8), che però è escluso nei casi nei quali l’immobile sia sottoposto a vincoli di assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali. In tal caso “Il procedimento è concluso con l’adozione di un provvedimento espresso e si applica quanto previsto dall’art 2 della legge 7 agosto 1990, numero 241 e successive modificazioni” (che stabilisce l’obbligo di concludere il procedimento e prevede all’uopo un termine di 30 giorni).
È da notare che attraverso le semplificazioni introdotte con le diverse leggi in concreto si viene a verificare un doppio regime, uno per gli immobili non soggetti al vincolo e l’altro per gli immobili soggetti a vincolo. Le semplificazioni in concreto si applicano soltanto relativamente ai primi e non anche relativamente ai secondi.
E’ da rammentare al riguardo che nel territorio della Regione siciliana trova applicazione, non essendo stato oggetto di abrogazione esplicita e non sussistendo ragioni di incompatibilità con le norme sopravvenute, l’art. 46 L. reg. 28 dicembre 2004, n. 17, il quale stabilisce, in relazione alle zone soggette a vincolo paesistico o su immobili di interesse storico artistico, che le autorizzazione della Soprintendenza sono rilasciate o negate entro 120 giorni, termine trascorso il quale il parere si intende reso in senso favorevole.
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La L. reg. n. 16, all’art. 3, ha riscritto l’art. 6 t.u. concernente l’”Attività edilizia libera” in termini decisamente più ampi sia rispetto all’art. 6 L. reg. n. 37 del 1985 (“Opere non soggette a concessione, autorizzazione o comunicazione”), esplicitamente abrogato, sia rispetto al testo unico. Taluna delle previsioni riscritte destano perplessità.
Mi riferisco in particolare all’art. 1 lett. b). L’originaria disposizione contenuta nel testo unico è così concepita: “Gli interventi volti alla eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio”.
Ebbene nella legge siciliana la lett. b) è così concepita “Gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche, compresa la realizzazione di rampe o di ascensori esterni”.
Si tratta di una semplificazione che francamente mi sembra esagerata. Si possono costruire ascensori esterni – negli immobili non vincolati – senza neanche l’obbligo della comunicazione.
Nello stesso art. 3, che riscrive l’art. 6 t.u., al comma 2 si elencano le attività che possono essere svolte previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori senza alcun titolo abilitativo, tra le quali gli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne e lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio e le opere interne alle costruzioni che non comportino modifiche della sagoma e dei fronti prospicienti pubbliche strade o piazze, né aumento di superficie utile e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d’uso delle unità immobiliari e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile. Ed ancora le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per le aree di sosta.
Al contempo viene esplicitamente abrogato l’art. 9 L. reg. n. 37/85 che aveva sostituito l’art. 26 L. 47/85, il quale disponeva che “non è considerato aumento di superficie utile o di volume né modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture precarie”.
Non risulta abrogato, né si riscontra un’abrogazione implicita per incompatibilità, l’art. 20 L. reg. n. 4 del 2003, che considera opere interne la chiusura di terrazze di collegamento o di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura spazi interni con strutture precarie. E ribadisce che sono opere interne la chiusura di verande o balconi con strutture precarie. Sicché quello che esce dalla porta rientra dalla finestra.
Si prescrive al riguardo (nell’art. 6, riscritto dall’art. 3 della L. reg. n. 16), l’onere della presentazione, contestualmente all’inizio dei lavori, di una relazione a firma di un progettista abilitato che asseveri, in relazione alle opere da compiersi, il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche unitamente al versamento in favore del comune dell’importo di 50 euro per ogni metro quadrato di superficie.
Particolari problemi si pongono in relazione all’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica disciplinata dall’art. 9 del testo unico recepito con modifiche dall’art. 4 L. reg. n. 16/2016.
I problemi sorgono dalla circostanza che è rimasto in vigore l’art. 39 L. reg. n. 19 del 1972, come sost. dall’art. 28 L. reg. n. 21 del 1973 e modificato dall’art. 21 L. reg n. 71 del 1978.
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Per quanto concerne il permesso di costruire mi limito a rammentare che esso è previsto dal t. u. (art. 10) per: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche alla volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone A, comportino modifiche della destinazione d’uso e interventi che comportino modifiche della sagoma degli immobili sottoposti ai vincoli di cui al D.lgs. n. 42 del 2004.
La legge regionale (art. 5) ha aggiunto un’altra specie costituita dalle d) opere di recupero volumetrico ai fini abitativi e per il contenimento del consumo di nuovo territorio: sottotetti, pertinenze, locali accessori, interrati, seminterrati.
Passiamo alla SCIA – segnalazione certificata di inizio attività, ed alla DIA – denunzia di inizio attività.
Come ricorderete la DIA è stata introdotta nella disciplina edilizia per le opere edilizie minori, come la manutenzione straordinaria, il restauro e risanamento conservativo, le recinzioni, ecc. con D.L. n. 398 del 1993.
Con la L. n. 443 del 2001 i casi di DIA sono stati notevolmente ampliati, con la previsione delle ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione, ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, degli interventi sottoposti a concessione specificamente disciplinati da piani attuativi contenenti precise disposizioni planovolumetriche, tipologiche, ecc., sopralzi, ampliamenti, addizioni, e nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici recanti previsioni di dettaglio.
La Regione siciliana, con l’art. 1 L. reg. n. 2 del 2002 disponeva che trova applicazione nel territorio della Regione siciliana l’art. 1, commi 6, 7, 8, 9 e 10 della L. 443 del 2001.
Con la L. reg. n. 16 la Regione ha recepito (art. 10) le disposizioni del testo unico concernenti la SCIA, con poche integrazioni. In concreto il campo di applicazione della SCIA è molto ampio. Significativamente esso viene individuato attraverso un criterio residuale, nel senso che sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività interventi non riconducibili all’elenco cui all’art. 3, vale a dire l’attività edilizia libera, e all’art. 5, vale a dire gli interventi subordinati a permesso di costruire.
Si prescrive espressamente che possono essere realizzati mediante DIA – Dichiarazione inizio attività, – e non già mediante SCIA come nella disciplina statale (ma la DIA è stata sostituita dalla SCIA) -, gli interventi di ristrutturazione edilizia in zone non comprese all’interno delle zone omogenee A ovvero relativi ad immobili sottoposti ai vincoli di cui al D.lgs. n. 42 del 2004, ovvero non ricadenti all’interno di parchi e riserve naturali o in aree protette ai sensi della normativa relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC, ZPS, compresa una fascia esterna di influenza per una larghezza di 200 metri. Ed ancora gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, nonché le opere di recupero volumetrico a fini abitativi.
Al riguardo mi risulta incomprensibile la circostanza che all’art. 10, comma 4 della L. reg. n. 16 – e già nella rubrica dell’articolo -, si parli di denuncia di inizio attività – DIA – stante che questa nella legislazione statale è stata interamente sostituita dalla SCIA, come è confermato da una nota a firma del capo dell’ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione normativa del 16 settembre 2010. E nella stessa legislazione regionale l’art. 22 L. reg. n. 10/1991 è stato sostituito dall’art. 6 L. reg. n. 5/2011 che ha introdotto la SCIA in luogo della DIA.
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Merita di essere segnalato l’art. 14 della L. reg. n. 16, che si riscrive l’art. 36 del t.u. riguardante l’accertamento di conformità, il quale contiene una importante novità: stabilisce che “il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”.
Sicché viene meno il principio della doppia conforme in base al quale si può ottenere il permesso in sanatoria soltanto se l’intervento risulti conforme non solo alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda ma anche a quella vigente al momento dell’abuso.
Rammento che in un certo periodo c’era stata un’apertura della giurisprudenza amministrativa nel senso che veniva configurata una sanatoria cosiddetta giurisprudenziale, vale a dire in presenza di conformità della costruzione con gli strumenti urbanistici vigenti al momento della pronunzia. Ma tale orientamento è stato ben presto travolto.
Con la conseguenza che nell’ipotesi in cui l’abuso originariamente difforme rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua commissione, frattanto diventi conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia introdotta successivamente, il costruttore dovrebbe per una mano demolire l’immobile e il giorno dopo potrebbe presentare domanda per avere il permesso di costruire o presentare la SCIA e ricostruire l’immobile che aveva appena demolito.
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Devo infine ricordare che il Governo ha 60 giorni di tempo dalla pubblicazione della legge regionale (suppl. ord. alla GURS 19 agosto 2016, n. 36) per proporre impugnativa davanti alla Corte costituzionale.
Nell’ipotesi in cui il ricorso venga proposto, esso non ha effetto sospensivo, ma la Corte, che deve fissare l’udienza di discussione del ricorso entro 90 giorni dal deposito dello stesso, ove ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico alla Repubblica ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per cittadino, d’ufficio può disporre la sospensione.
Mi auguro che il governo nazionale non proponga impugnativa. Che tenga conto della circostanza che nelle materie di legislazione esclusiva la Regione siciliana non è soggetta, come le Regioni ordinarie, al limite dei principi fondamentali (art. 117, 3° comma. Cost.), bensì al limite delle grandi riforme (art. 14 St. sic.).