La nuova stagione di riforme in ordine ai compensi professionali degli avvocati, in particolare con l’introduzione dell’equo compenso e con la riforma dei parametri forensi di cui al d.m. 8 marzo 2018, n. 37, in vigore a partire dal 27 aprile, rende senza dubbio urgente l’esigenza di fare un punto della situazione, nonché una riflessione sullo stato dell’arte in materia.
L’indubbia complessità della tematica è dovuta alle diverse e cangianti finalità che gli attori del sistema hanno inteso perseguire ogni volta che si è deciso di mettere mano al tema del compenso professionale. In particolare, si è passati dalla finalità di tutela della dignità della professione al principio di libera concorrenza e libera circolazione, dalla difesa del professionista quale contraente debole al principio del libero esplicarsi dell’autonomia privata, e così via dicendo.
In tale contesto, le recenti modifiche sembrano invertire nuovamente la rotta rispetto al previgente sistema, imponendo una concreta e rinnovata riflessione sulla necessità di tutelare la dignità dell’avvocato e l’importanza del suo ruolo e della sua attività. È questa infatti la chiave di lettura risultante dal combinato disposto delle ultime più rilevanti modifiche sul punto, ossia la previsione dell’obbligo dell’equo compenso di cui all’art. 13 bis della legge forense e l’importante revisione della disciplina dei parametri forensi operata con il d.m. 37/2018.
Questi ultimi due interventi, dunque, apportando un nuovo approccio dell’ordinamento al sistema del compenso, diventano adesso fondamentali per la corretta applicazione dei parametri.
Il primo, ossia l’introduzione dell’art. 13-bis alla legge professionale forense, ha imposto l’obbligatorietà di un compenso equo per l’avvocato, proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, e determinato in relazione ai parametri ministeriali, quantomeno con riferimento ad alcuni “grandi clienti”, come le grandi imprese, le banche e, adesso, anche le pubbliche amministrazioni.
È per tale ragione che il tema dell’equo compenso si collega strettamente alla recentissima modifica del decreto sui parametri.
L’art. 13, comma 6, della legge professionale forense, come noto, fissa in due anni il termine entro il quale il Ministero deve, su proposta del CNF, aggiornare e riformare periodicamente il sistema dei parametri, emanando i decreti ministeriali di modifica.
Con grave ritardo rispetto all’emanazione del d.m. 55/2014 (sono passati quasi quattro anni), è stato adesso pubblicato il d.m. 37/2018 che, sebbene sembri non aver modificato più di tanto la previgente disciplina, è al contrario intervenuto in maniera assolutamente pesante nell’impianto dei parametri forensi, in primis convertendo il fondamentale paradigma della loro derogabilità.
Il nuovo decreto tra origine, come previsto dalla legge professionale, da un’articolata e dettagliata proposta avanzata dal CNF, nella quale si sono avanzate numerose iniziative ed interventi di modifica e rettifica dei precedenti parametri, molti dei quali rimasti però inascoltati da parte del Ministero.
Sul testo definitivo, che prima della sua pubblicazione ha trovato il parere favorevole delle Commissioni Giustizia della Camera dei Deputati e del Senato, ha influito in maniera rilevante quanto osservato dal Consiglio di Stato in seno al parere reso nei confronti dello schema preliminare del decreto, nel quale è stata peraltro rilevata l’opportunità di chiarire con esplicita motivazione le ragioni del rigetto di molte delle proposte avanzate dal CNF.
L’esito di tale iter è stato quello di un decreto che sicuramente contribuisce a migliorare alcuni aspetti della previgente disciplina e a colmare alcune delle lacune ivi contenute; dall’altro lato, però, si vedrà come anche la nuova normativa non è esente da criticità e da occasioni mancate.
Per maggiori approfondimenti sui temi appena descritti, si consiglia la lettura del volume I nuovi parametri forensi dopo il D.M. 37/2018, Maggioli editore disponibile al seguente link.
